martedì 27 settembre 2016

C'è una strada a Barcellona

C'è una strada a Barcellona che mi piace in modo particolare, è il tratto finale del Carrer de Wellington, verde e silenzioso, chiuso alle auto e percorso dal tram.

Carrer de Wellington (foto Wikipedia)
Da un lato è costeggiato dal parco de La Ciutadella e in fondo, verso il mare, si trova l'entrata dello Zoo, dalla parte opposta si trova qualche (brutta) struttura nuova e alcuni edifici ottocenteschi molto interessanti, acquisiti dall'Università Pompeu Fabra che li ha inglobati nel campus.

Uno di questi, ora quasi totalmente in disuso e da recuperare, era una residenza di militari; un'altro riporta una targa all'esterno che spiega l'utilizzo originale "Dipòsit de les Aigües", ultimato nel 1880 su progetto di Fontserè (responsabile della trasformazione della cittadella militare in parco) e il contributo di un giovane studente in architettura di nome Gaudì. Si tratta in pratica di una struttura di altissimi archi per sostenere una enorme cisterna d'acqua che serviva ad alimentare la fontana del Parco e a mantenerne la flora.

Viste dall'alto della cisterna
(foto da patrimonioindustrialdebarcelona.blogspot.com.es)

Dopo svariati usi (asilo, magazzino dei pompieri, parcheggio per la Guardia Urbana, archivio del Palazzo di Giustizia, ...) ora il Deposito delle Acque è diventato una bellissima biblioteca.

E' aperta a chiunque voglia visitarla, ci si arriva entrando dall'ingresso dell'Università e attraversando la parte nuova e sotterranea dell'edificio. Entrando la sensazione è simile a quando si entra in una chiesa: gli archi paralleli alti 14 metri e il silenzio che governa danno una dimensione sacrale all'ambiente, i tavoli sono disposti su livelli diversi e ben illuminati, gli scaffali bassi.
Potete anche guardare gli studenti che studiano (o pregano) dalle grandi finestre di Carrer de Wellington e intanto farvi sorprendere da un ruggito o da un barrito che proviene alle vostre spalle dai vicini dirimpettai dello zoo.




All'entrata della biblioteca c'è una piccola mostra permanente dedicata allo studioso e grammatico Pompeu Fabra i Poch che ha dato il nome all'Università, autore del "Dizionario generale della lingua catalana" (1932) ed esiliato in seguito alla guerra civile. Un cartello (datato 1921) vi accoglie così "Fate già parte dell'associazione che protegge l'insegnamento in catalano?"




venerdì 16 settembre 2016

Tina e Tina


Ci sono vite che mi appassionano e di solito sono vite di donne.

Ho la fortuna di essere circondata da donne straordinarie e di poter vedere lo straordinario nelle donne che incontro. 
Anni fa ho incrociato la storia di una donna che mi ha folgorato a tal punto da pensare che avrei chiamato una figlia come lei: Tina.

La prima volta che ho incontrato Tina Modotti è stato a Udine, dove Tina è nata nel 1896 e ora la ritrovo in Spagna durante gli anni della Guerra civile.
Non essendo possibile riassumere qui una vita così speciale, riporto la definizione che da di lei il Comitato Tina Modotti: "Emigrante, operaia, attrice, fotografa nel Messico degli anni Venti, antifascista, militante nel movimento comunista internazionale, perseguitata ed esule politica, garibaldina di Spagna".

E' stato detto e scritto molto su di lei, segnalo una fra tutte la biografia di Pino Cacucci, "Tina" e due documentari: uno italiano ("Tina Modotti: fotografa e rivoluzionaria" Rai) e uno messicano (L. Martinez Diaz "Tina Modotti: el dogma y la pasion", 2011).

Alcune immagini di Tina fotografa e fotografata:









Sulla sua attività di attrice: la Cineteca del Friuli e Cinemazero hanno recuperato il suo primo film, "Tiger's coat". Si può guardare interamente qui su YouTube, dura un'ora, suggerisco di concentrarsi sugli sguardi potentissimi che devono sopperire alla mancanza del parlato, sui costumi curatissimi nei dettagli e sulla musica, aggiunta contemporanea che accompagna perfettamente le immagini del 1920.

Muore a 46 anni, sola, in un taxi. Neruda scrisse il suo epitaffio inciso sulla lapide della tomba di Tina a Città del Messico:
Tina Modotti, hermana, no duermas, no, no duermas
tal vez tu corazón oye crecer la rosa
de ayer, la última rosa de ayer, la nueva rosa.
Descansa dulcemente, hermana.
La nueva rosa es tuya, la nueva tierra es tuya:
Te has puesto un nuevo traje de semilla profunda
Y tu suave silencio se llena de raíces.
No dormirás en vano, hermana.
Puro es tu nombre, pura es tu frágil vida
De abeja, sombra, fuego, nieve, silencio, espuma,
De acero, línea, polen, se construyó tu férrea,
tu delicada estructura.


Poi, più recentemente, ho incontrato un'altra Tina che ha molto in comune con la prima tra cui l'origine umile del nord est italiano; la curiosità e la fierezza, la passione nella vita e il coraggio nella lotta.

Tina Merlin è nata nel 1926 e morta nel 1991, è stata partigiana e giornalista, è conosciuta soprattutto come la "giornalista del Vajont". In questo audio di Radio Rai3 si racconta bene di lei e qui si può vedere una sua intervista dopo la tragedia ("La storia siamo noi").

Dal mio punto di vista la bellezza di queste due donne è abbagliante, la bellezza dello sguardo con cui guardano e raccontano tutte le cose.


«La mia vita è stata difficile, povera economicamente, dedita soprattutto al lavoro ma in realtà è stata ricca e stupenda, colma di esperienze importanti, gioie, dolori, amori, lotte. Sono soddisfatta di averla vissuta come l'ho vissuta. L'unica cosa che mi rompe le palle è di dover morire una volta o l'altra». Tina Merlin

mercoledì 7 settembre 2016

Il cielo sopra Udine

Loggia del Lionello e cielo blu

Udine ci ha accolto con una serata piovosa (a Udine piove sempre, si sa) per regalarci il giorno dopo uno di quei cieli friulani alti e blu che trovi solo lì.

Ho vissuto qualche anno a Udine, città discreta e bellissima: la Loggia del Lionello, il Castello, Piazza San Giacomo (o delle Erbe o del Mercato o Matteotti), … Ma anche i bar e le osterie: qualcuno dei locali storici non c’è più, qualcuno è stato trasformato in modo così brutto e inospitale che forse sarebbe stato meglio chiuderlo, di qualcuno ricordo a memoria la carta recitata sempre uguale come una preghiera dal gestore baffuto e un po' brillo: "baccalà mantecato con polenta, sarde in saor, musèt e brovade, frico, frittata e nervetti"; a differenza di quando ci vivevo ora il tajùt si chiama Friulano e non più Tocai. Con dispiacere ho notato che nella gran parte dei menù della città è comparso il paragrafo “Insalatone”.

Passeggiando nella notte piovosa incontriamo il monumento alla Resistenza, progetto dell'architetto udinese Gino Valle, anni fa impraticabile e difficilmente raggiungibile dato il traffico che lo circondava, ora è stato restaurato, ripulito ed ha una bella nuova illuminazione. Il monumento, inaugurato tra molte polemiche nel 1969 ma pensato dieci anni prima, consiste in una grande struttura quadrata che pare sospesa all'interno di un’area rotonda collocata nel centro di una grande piazza. Dentro la struttura, ad un livello più basso rispetto alla piazza, si trova una fontana-cascata e una scultura di Dino Basaldella (cliccate qui per saperne di più sulla storia del Monumento).
Personalmente mi piaceva com'era in passato completamente coperto dai rampicanti ma ora, su una delle pareti della cornice, si può leggere questa frase di Pietro Calamandrei:
“Quando io considero questo misterioso e miracoloso moto di popolo, questo volontario accorrere di gente umile, fino a quel giorno inerme e pacifica, che in una improvvisa illuminazione sentì che era giunto il momento di darsi alla macchia, di prendere il fucile, di ritrovarsi in montagna per combattere contro il terrore, mi vien fatto di pensare a certi inesplicabili ritmi della vita cosmica, ai segreti comandi celesti che regolano i fenomeni collettivi, come le gemme degli alberi che spuntano lo stesso giorno, come certe piante subacquee che in tutti i laghi di una regione alpina affiorano nello stesso giorno alla superficie per guardare il cielo primaverile, come le rondini di un continente che lo stesso giorno s'accorgono che è giunta l'ora di mettersi in viaggio. Era giunta l'ora di resistere; era giunta l'ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini." 
(dal discorso tenuto al Teatro Lirico di Milano, 28 febbraio 1954, in Uomini e città della Resistenza: discorsi scritti ed epigrafi, Laterza)

Monumento alla Resistenza

Il giorno dopo, nella luce luminosa della città, dalla saracinesca di un chiosco ci esortano così:
"Basta dormire sugli allori! Vale la pena morire di chat e videogiochi? Guardate in alto, il cielo è lo schermo più luminoso che possiamo bramare".
 Come non essere d'accordo? 

 Chiosco in Piazza Primo Maggio