Le Fate è una fiaba di Charles Perrault dove si racconta di una giovane che viene premiata per la sua gentilezza da una fata e, ogni volta che apre bocca, ne escono perle e diamanti. L'immagine mi viene in mente quando penso a Paolo: ci sono persone che portano nella vita degli altri luce e allegria, viene loro facile e inevitabile e Paolo possedeva questa magia.
Quando ho incontrato Paolo per la prima volta avevo quattordici anni e lui pochi di più.
Eravamo in centro città, allora ancora permesso al traffico, lui indossava sempre un giubbetto di jeans e si muoveva con l'inseparabile Vespa.
Fin da quel primo momento secondo Paolo, ma solo secondo lui, era evidentissima la mia somiglianza con Joni Mitchell.
La seconda volta che l'ho incontrato, Paolo mi ha detto: "Devo presentarti il
mio migliore amico che è uguale uguale a Roger Daltrey".
Joni Mitchell
Roger Daltrey
Il suo linguaggio era esclusivamente musicale e poteva mettere in
difficoltà chi, come me, di musica ne sapeva poco: facevi una domanda e
lui ti rispondeva canticchiando un giro di basso, così ho smesso di fare
domande e ho cominciato ad ascoltare tutto quello che potevo, seduta
per terra, in angoli scomodi di cantine e in soffitte foderate di
cartoni per le uova che facevano da isolante acustico. Lui suonava tutto, cantava tutto, era curioso, vorace, entusiasta. Conoscendo lui ho conosciuto, oltre a Joni Mitchell e agli Who, tutti i più grandi cominciando da Frank Zappa.
Un giorno arriva la sua prima apparizione televisiva dove, occhiali scuri, mima con grande convinzione un asolo di chitarra.
E' il 1983, la canzone è "Giorno dopo giorno" di Diego Vilar e la trasmissione è la mitica Discoring.
Sua sorella Silvia, che mi sarà molto cara, riesce, con i potenti mezzi tecnologici di cui allora si era dotati, a fare qualche fotografia dello schermo tv, Paolo me ne procura qualche preziosissima copia che conservo.
Un giorno Paolo ascolta gli Elio e le Storie Tese e lo vedo fulminato in diretta da un innamoramento da subito ricambiato. Insieme agli Elii l'ho sentito suonare la prima volta a Monfalcone e l'ultima in un paese del Bresciano.
Poi ho ascoltato tante volte gli EelST suonare per lui e per il suo sogno di ragazzo che parla con le note: grazie a loro, all'Associazione Paolo Panigada e a tutte le persone che hanno voluto bene a Paolo, da qualche anno a Crema esiste una sala prove pubblica che si chiama "Feiez Sound".
Ci sono persone che sembrano lasciare dietro di sè un mondo più
silenzioso, più buio. Chiudo gli occhi e in ogni momento posso sentire la sua voce, la sua
musica e la sua allegria, è rimasto tutto qui: perle, diamanti e
risate.
Per ricordarlo oggi, 23 dicembre, diciotto anni dopo, posto qui sotto "Tapparella" e il video de "La canzone mononota", dove, tra tutti i faccioni, c'è anche quello di Feiez.
E forza Panino a tutti!
Se guardate bene, tra le mille bandiere dei colori catalani appese alle finestre di Barcellona, troverete anche un balcone (uno solo immagino) che porta appeso un mazzolino di fieno. E' il segno che nella notte tra il 12 e il 13 dicembre da quella casa passerà Santa Lucia con il suo asinello.
A Crema l'arrivo di Santa Lucia è una festa importantissima: la tradizione vuole che i bambini scrivano una breve lettera di bilanci passati, futuri propositi e desideri presenti, che visitino le bancarelle della Fiera di Santa Lucia in Piazza del Duomo e che vadano a letto presto con gli occhi chiusi stretti stretti. La mattina i bambini, se sono stati buoni durante l'anno, troveranno dei doni, altrimenti solo carbone (!).
Santa Lucia "è considerata dai devoti la protettrice degli occhi, dei ciechi, degli oculisti, degli elettricisti e degli scalpellini e viene spesso invocata nelle malattie degli occhi" (da Wikipedia).
Santa Lucia ci fissa con gli occhi che porta su un piattino.
In Catalogna, invece, i regali ai bambini li portano "els Reies d'Orient", i Re Magi, il 6 gennaio, preceduti da una straordinaria sfilata (la "cabalgata") cui partecipa tutta la città nel pomeriggio precedente. In questo caso i bambini troveranno i regali sopra le loro scarpe.
Ma anche a Barcellona esiste da ben 230 anni una Fiera di Santa Lucia, comincia alla fine di novembre e finisce il 13 dicembre, davanti alla Cattedrale. Si tratta di diverse piccole bancarelle a forma di casette dove si può trovare qualunque addobbo natalizio e tutto per l'allestimento del presepe.
Ogni casetta è dedicata a un elemento preciso: ci sono ad esempio i rivenditori di capanne e quelli di muschio, quelli specializzati in ponti o in pozzi, in minuscole stoviglie o in anfore e cestini, quelli che vendono statuette di contadini o di animali, rami di vischio o di catene di luci.
Oltre a tutte queste meravigliose cose ci sono due personaggi curiosi che troverete alla "fira de Santa Llúcia" di Barcellona e non alla "féra da santa Lüséa" di Crema: si tratta del "caganer" e del "caga tió".
Il "caganer" è una statuina accovacciata con le braghe calate che sta
defecando. Normalmente è ritratta nel costume tipico catalano con
cintura e berretto rosso ma, come succede anche con i pastorelli
napoletani, qualunque personaggio conosciuto viene onorato da un caganer
che lo ritrae.
La tradizione vuole che la statuina venga posta in un luogo
appartato del presepe e sta a significare che siamo umani in qualunque
situazione anche in prossimità del miracolo divino. Inserirlo nel
presepe porta fortuna (perchè fertilizzando la terra è simbolo di prosperità), non farlo produce l'effetto contrario.
Il caganer
L'ultima (mostruosa) novità: il "caganer Trump
"
Il "caga tió" invece è un ceppo di legno con una faccia sorridente dipinta
ed un berretto catalano: l'8 dicembre si comincia a nutrirlo e a coprirlo con un mantello rosso perchè non soffra la fame e il freddo e alla vigilia di Natale, cantando una canzoncina a lui dedicata, viene bastonato dai bambini affinchè "caghi" dolci e regali.
Caga tió
La canzone inizia così:
"Caga tió
mandorle e torroni
non cagare aringhe
che sono troppo salate
caga torroni
che sono più buoni
Caga tió
mandorle e torroni
se non vuoi cagare
ti darò una bastonata"
Nel video sotto potete ascoltarne una strofa accompagnata dal suono dei bastoni:
"Fira de Santa Llúcia" di Barcellona
"Abbiamo mantelli e bastoni per far cagare il tió"
In qesta immagine ottocentesca i bimbi bastonano il ceppo sotto gli sguardi amorevoli dei genitori (da Wikipedia)
Auguro a tutti una fine d'anno di dolci e regali e un nuovo inizio senza carbone e bastonate 💟
Per (cercare di) imparare il catalano stò seguendo un corso all'Escola Official d'Idiomes. In questa scuola, che ha più di cinquant'anni, si insegnano 17 lingue e i frequentatori vengono da tutto il mondo, hanno età diversissime e storie uniche. A volte gli insegnanti escono dai noiosi binari degli esercizi di grammatica per proporre film, libri, interviste, canzoni, ... materiale interessante e a volte anche emozionante.
E' il caso di questa canzone che avrebbe dovuto insegnarmi il congiuntivo ma, soprattutto, mi ha fatto scoprire Pau Riba e la forza con cui recita e canta le bellissime parole di "Nina de Miraguano". Pau Riba è un artista e scrittore catalano e ha la faccia di uno che ha vissuto tutto, delle rughe che raccontano un passato ribelle che non passa.
Pau Riba
Qui potete vedere il video di "Nina de Miraguano" dell'Orquestra Fireluche con Pau Riba e sotto potete ascoltarla seguendo il testo originale.
Da parte mia, da brava scolara, ho provato a tradurla e se il testo in italiano è zeppo di errori non fateci caso: saranno sicuramente dovuti alla licenza poetica perchè quando non capivo, naturalmente, inventavo.
Il primo scoglio è il titolo: il "miraguano" è la fibra naturale più leggera del mondo, usata per imbottire cuscini, trapunte e bambole. In italiano si dice "kapok", ma "Bambola di kapok", ne converrete, non suona altrettanto poetico.
Ogni interpretazione alternativa alla mia traduzione è benvenuta.
Nina de Miraguano (Orquestra Fireluche con Pau Riba)
La Maria s'adorm i a fora el vent la bressola "Rum, rum", entre les branques una remor com de mar
La Maria s'adorm i desitjos i encanteris amagats a la panxa d'una nina li bressolen la son
Que el llit es converteixi en un mar esbarriat i els llençols en veles de paper d'arròs i se t'endugui un aeri oceà de peixos alats i llagostes d'ales d'aigua i que després, sentint el vertigen de ser gota d'aigua freda de
pluja caiguis i et facis amiga dels calabotins i us passeu el que queda de nit xerrant i mirant les estrelles des de sota l'aigua.
Que no et facis vella sense fer-te gran que no et facis gran sense créixer, que no perdis la inèrcia del somriure, que no oblidis la urgència del moment, que sentis que formes part d'una tribu i que respectis el seu cos però vegis que només és una canoa
Que no et senti dir mai: "sí, sóc aquesta mandrosa acumulació d'errors", i que entenguis que estimar és estimar involuntàriament, imperfectament,
inevitablement i que si t'enamores d'algú t'entrebanquis contínuament amb el seu nom i que et digui: "t'estimo, però no ho sé escriure"
I que quan us veieu, els
vostres ulls, els teus i els seus siguin com quatre ocells que se us emportin en volandas que no siguis com tota aquesta gent que fa la veu trista per telèfon que si plores notis que el torrent de llàgrimes
et neteja que si te'n vas, sentis a dir-te: "quan me mori enyoraré enyorar-te"
Que arribi l'hivern a la primavera de la vida i que recordis que tots parim pels ulls que la gent és i s'és el que s'és qui et fan ser com s'és i que entenguis que delires i confies per un instant que no ho fas
Que un dia un noi o una noia et digui: estic enamorat de la imperfecció del teu cos de la lluna dels teus pits de la carn de la teva cara de l'aigua dels teus ulls i el desig que vol – sense saber que vol – em xiscla a cau d'orella:
que la memòria no et sigui massa fràgil i et sàpiga donar contínuament a llum i que estimis i et deixis estimar que sovint és la lliçó més difícil d'aprendre i després, silenci.
Sigues només un infant que fa gargots mantingues la teva innocència lluny de l'abast
dels adults i que no et venguis mai per una droga de
tranquil·litat per una punyalada amable per una tendra esgarrapada als llavis i no siguis mai per ningú i que ningú sigui per tu,
només una aixada a les pupil·les Procura mantenir algun desig incomplert i sempre purs els orificis del cor: ulls, boca, nas i orelles i estigues contenta.
Nina de Miraguano (it.)
Maria si addormenta
E fuori il vento la culla
“Rum, rum”, tra i rami
Un rumore come di mare
Maria si addormenta
E desideri e incantesimi
nascosti
Nella pancia di una
bambola
Li culla il sonno
Che il letto si trasformi in un mare
sottosopra
E le lenzuola in vele di carta di riso
E ti porti un oceano aereo di pesci alati
E aragoste d’ali d’acqua
E che poi,
Sentendo la vertigine di essere goccia d’acqua
fredda di pioggia
Che tu cada e diventi amica dei girini
E che passiate quel che resta della notte
chiacchierando
E guardando le stelle da sott’acqua.
Che non diventi vecchia senza farti grande
Che non diventi grande senza crescere,
Che tu non perda l’inerzia del sorriso,
Che non dimentichi l’urgenza del momento,
Che tu senta che sei parte di una tribù
E che rispetti il suo corpo
Ma che sappia che è solo una canoa.
Che non ti senta dire mai:
“sì, io sono questo pigro accumulo di
errori”
E che tu capisca che amare
È amare involontariamente, imperfettamente,
inevitabilmente
E che se ti innamori di qualcuno
Che inciampi continuamente nel suo nome
E che ti dica:
“ti amo, ma non lo so scrivere”
E che quando vi vediate, i vostri occhi,
I tuoi e i suoi
Siano come quattro uccelli che vi portano
in volo
Che tu non sia come tutta questa gente
Che fa la voce triste al telefono
Che se piangi, tu ti accorga che il
torrente di lacrime ti pulisce
Che se te ne vai, che tu ti senta dire
“quando morirò mi mancherà sentire che mi
manchi”
Che arrivi l’inverno nella primavera della
vita
E che ti ricordi che tutti partoriamo dagli
occhi
Che la gente è e si è
Ciò che si è
Chi ti fanno essere
Come si è
E che tu capisca che deliri
E confidi per un istante che non lo fai
Che un giorno un ragazzo o
una ragazza ti dica:
Sono innamorato dell’imperfezione
del tuo corpo
Della luna dei tuoi seni
Della carne del tuo volto
Dell’acqua dei tuoi occhi
E il desiderio che vuole –
senza sapere cosa vuole –
Mi urla sottovoce:
che la memoria non sia troppo fragile
e ti sappia regalare continuamente la luce
e che ami e che ti lasci amare
che spesso è la lezione più difficile da
imparare
e poi, silenzio.
Sii solo un bambino che fa scarabocchi
Mantieni la tua innocenza lontano dalla
portata degli adulti
E che tu non ti venda mai per una droga di
tranquillità
Da quando è stata eletta poco più di un anno fa, per la sindaca, l'alcaldessa Ada Colau, uno degli obiettivi è liberare Barcellona dalle auto per costruire "una città più giusta e più felice".
La superilla o supermanzana (super isola o isolato) è una delle iniziative più discusse dell'attuale amministrazione barcellonese che la descrive come "uno spazio pubblico diverso, con meno rumore, più verde, accessibile e gradevole per passeggiare a piedi o in bicicletta, per giocare e fare sport, con nuovi spazi di incontro e possibilità di organizzare attività all'aria aperta".
Nella pratica consiste nell'isolare una zona della città che
comprenda nove isolati (super isola) in un quadrato di tre per tre,
permettendone il passaggio interno solo in sensi obbligati e solo per
chi ci vive creando così degli spazi dedicati all'utilizzo sociale
(giochi, sport, incontri) e dando la priorità di movimento a chi si
muove a piedi e in bicicletta. Di fatto delle grandi isole pedonali in
zone non centrali o senza attività commerciali o museali o altro che
normalmente (finora per lo meno) giustificano queste scelte.
Sono previsti vari interventi di questo tipo in città e da
qualche settimana è iniziato un esperimento pilota nel quartiere di San
Martì (Poblenou) che sono andata a visitare una domenica mattina.
La
sensazione che ho avuto è di qualcosa di provvisorio, qualcosa di nuovo
che ancora deve capire cosa diventerà. Gli abitanti della zona ne
discutono, naturalmente le critiche e le polemiche sono tante ma, come
ogni cosa nuova va sperimentata e migliorata.
La superilla di San Martì (elperiodico.com)
Mi ha colpito soprattutto lo spazio dedicato al confronto e al dibattito: ci sono sedie in circolo, piccoli podi per declamare le proprie idee, spazi delimitati con disegni per votare fisicamente pro o contro qualcosa, ... come una sorta di moderna Agorà.
All'interno di questa superilla si trova anche un edificio molto particolare, si chiama Media TIC che sta per Tecnologia dell'Informazione e della Comunicazione, e ospita l' Universitat Oberta de Catalunya,
imprese private e uno spazio pubblico. L'aspetto futuristico dello
stabile, inaugurato nel 2010, è dovuto al rivestimento di pannelli di
EFTE un materiale plastico che contiene fluoro e che consente un
risparmio energetico del 20 %.
Nei pressi c'è anche una bacheca dove chi vuole può lasciare il proprio parere a proposito della superilla. Qui ne metto due, uno contro e uno a favore, sintetici e chiari nelle loro posizioni:
"E' la stupidaggine più stupida che ho mai visto in vita mia"
"Mi piace l'idea. Le città sono per le persone, non per le auto!"
Vedremo come evolve questo esperienza che sembra interessi anche altre città come New York e Parigi dove potrebbe venire riproposta.
Nel frattempo buone Superisole a tutti!
C'è una strada a Barcellona che mi piace in modo particolare, è il tratto finale del Carrer de Wellington, verde e silenzioso, chiuso alle auto e percorso dal tram.
Carrer de Wellington (foto Wikipedia)
Da un lato è costeggiato dal parco de La Ciutadella e in fondo, verso il mare, si trova l'entrata dello Zoo, dalla parte opposta si trova qualche (brutta) struttura nuova e alcuni edifici ottocenteschi molto interessanti, acquisiti dall'Università Pompeu Fabra che li ha inglobati nel campus.
Uno di questi, ora quasi totalmente in disuso e da recuperare, era una residenza di militari; un'altro riporta una targa all'esterno che spiega l'utilizzo originale "Dipòsit de les Aigües", ultimato nel 1880 su progetto di Fontserè (responsabile della trasformazione della cittadella militare in parco) e il contributo di un giovane studente in architettura di nome Gaudì. Si tratta in pratica di una struttura di altissimi archi per sostenere una enorme cisterna d'acqua che serviva ad alimentare la fontana del Parco e a mantenerne la flora.
Viste dall'alto della cisterna
(foto da patrimonioindustrialdebarcelona.blogspot.com.es)
Dopo svariati usi (asilo, magazzino dei pompieri, parcheggio per la Guardia Urbana, archivio del Palazzo di Giustizia, ...) ora il Deposito delle Acque è diventato una bellissima biblioteca.
E' aperta a chiunque voglia visitarla, ci si arriva entrando dall'ingresso dell'Università e attraversando la parte nuova e sotterranea dell'edificio. Entrando la sensazione è simile a quando si entra in una chiesa: gli archi paralleli alti 14 metri e il silenzio che governa danno una dimensione sacrale all'ambiente, i tavoli sono disposti su livelli diversi e ben illuminati, gli scaffali bassi.
Potete anche guardare gli studenti che studiano (o pregano) dalle grandi finestre di Carrer de Wellington e intanto farvi sorprendere da un ruggito o da un barrito che proviene alle vostre spalle dai vicini dirimpettai dello zoo.
All'entrata della biblioteca c'è una piccola mostra permanente dedicata allo studioso e grammatico Pompeu Fabra i Poch che ha dato il nome all'Università, autore del "Dizionario generale della lingua catalana" (1932) ed esiliato in seguito alla guerra civile. Un cartello (datato 1921) vi accoglie così "Fate già parte dell'associazione che protegge l'insegnamento in catalano?"